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23 Gen 2018

Agricoltura, la Sicilia resiste a chiusura aziende

Dati dell’Annuario statistico italiano (Istat): nell’Isola in 3 anni si è registrata una contrazione del 7,2%, in Italia del 9,3%. In diminuzione anche la superfice agricola utilizzata (Sau)

PALERMO – L’agricoltura siciliana resiste con qualche difficoltà alla moria di aziende e alla diminuzione della superficie agricola utilizzata registrate dall’Istat nel nostro Paese.
Le aziende agricole italiane nel 2013 sono 1,5 milioni con una contrazione del 9,3% rispetto al 2010. In Sicilia sono 203.764 con una diminuzione del 7,2% che, seppur significativa, si attesta al di sotto della media italiana. Anche la superficie agricola diminuisce, scrive l’Istat nell’annuario statistico, ma in misura minore rispetto al numero di aziende: tra il Censimento 2010 e il 2013 il calo è del 3,3 per cento per la Superficie agricola utilizzata (Sau) e del 2,4 per cento per la superficie totale (Sat). La dimensione media delle aziende, pertanto, aumenta, da 7,9 a 8,4 ettari. In Sicilia la Sau diminuisce dello 0,9% e la Sat dell’1,3%.
Analizzando il Paese per macroaree è evidente che la diminuzione della Sau è maggiore nel Nord-ovest (-5,7 per cento) e al Centro (-6,3 per cento), mentre risulta più contenuta nel Nord-est (-1,7 per cento), nel Sud (-3,0 per cento) e nelle Isole (-0,9 per cento). La nostra Isola, dopo la Campania (-0,8%), appare dunque tra le regioni che hanno perso meno Sau negli anni analizzati. Situazione critica, invece, per Molise (-10,6%) e Lazio (-7%) che dal 2010 al 2013 hanno perso quote importanti di superficie agricola utilizzata.
Nel 2013 sono stati investiti a seminativi 6,8 milioni di ettari, le coltivazioni legnose agrarie occupano 2,3 milioni di ettari e i prati permanenti e pascoli 3,3 milioni di ettari. Il Nord e il Centro sono decisamente caratterizzati da superfici investite a seminativi (oltre il 60 per cento della Sau è utilizzato per queste colture), mentre nel Sud si osserva la maggiore quota di Sau (30,0) impegnata in permanenti (fruttiferi, agrumi, vite, olivo).
A ben guardare l’aspetto qualitativo, l’Italia si conferma primo Paese per numero di riconoscimenti Dop, Igp e Stgconferiti dall’Unione europea, con un totale di 278 prodotti di qualità riconosciuti al 31 dicembre 2015, nove in più rispetto al 2014. Le specialità Dop e Igp sono ampiamente diffuse sul territorio, scrive l’Istat, ma alcune regioni spiccano rispetto alle altre, in particolare l’Emilia-Romagna e il Veneto, molto ricche di Dop e Igp (rispettivamente 42 e 36 prodotti). Nel Nord emergono anche Lombardia e Piemonte con 32 e 22 specialità, mentre nel Centro si distinguono Toscana e Lazio con 28 e 26 prodotti e nel Mezzogiorno, Sicilia e Campania con 29 e 22 riconoscimenti. Molto diversa è la distribuzione della superficie interessata alle Dop e Igp, che per oltre i tre quarti (76,6 per cento) si concentrano nelle regioni centro-meridionali (il 45,0 per cento nel Centro e il 31,6 per cento nel Mezzogiorno).
Infine, l’analisi delle giornate di lavoro complessivamente prestate in azienda rimangono sostanzialmente invariate rispetto al censimento 2010 (circa 253 milioni). Si conferma il carattere tipicamente familiare dell’agricoltura italiana: le giornate di lavoro della manodopera familiare (circa 196 milioni) rappresentano il 77,4 per cento del totale. Tuttavia, rispetto agli anni precedenti, si osserva una diminuzione di questa componente a fronte di un aumento della manodopera extra-familiare. Per questa tipologia di manodopera si assiste ad un aumento sia delle giornate lavorative per il personale a tempo indeterminato, sia di quelle relative alla manodopera a tempo determinato, comprendente la manodopera saltuaria aziendale e quella non assunta direttamente. La Sicilia fa registrare ben 18.183.662 giornate di lavoro della manodopera familiare contro le 7.748.124 giornate di lavoro dell’altra manodopera a tempo determinato e appena 416.051 a tempo indeterminato.
Articolo tratto da QDS.it
17 Gen 2018

Agricoltura e Pesca – 70 milioni di bandi regionali senza copertura

“E’ urgente che il Governo agisca con responsabilità, rispetto ai tanti bandi emanati negli ultimi mesi nei settori dell’Agricoltura e della Pesca senza che gli stessi abbiano copertura finanziaria. Si tratta di bandi a valere sul FEAMP (fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca 2014-2010) per circa 70 milioni di euro, di cui 6 milioni a carico della Regione non ancora previsti, con decine di potenziali beneficiari impegnati a preparare progetti che potrebbero essere del tutto inutili.

Il Governo trovi una soluzione o ritiri questi bandi, per non apparire la pessima fotocopia di chi lo ha preceduto.”

Lo ha dichiarato stamattina l’onorevole Cateno De Luca durante i lavori della Commissione Bilancio all’ARS in merito all’intervento dell’Assessore all’Agricoltura e la Pesca Edy Bandiera.

“Anche in questi due importanti settori della nostra economia – afferma De Luca – Musumeci e i suoi assessori devono chiarire quali siano le linee su cui si muoveranno rispetto al generico intento di “rivedere” la programmazione della spesa. E’ ora di mettere da parte un approccio meramente ragionieristico dove a contare è il “quanto” si spende piuttosto del “come” si spende. Ne è la prova la vicenda della Circolare sul sostegno alle piccole imprese agricole, con la quale, a fronte di un limite comunitario del 75% di intensità del sostegno, in Sicilia ci si ferma al 45%. Se il nostro tessuto imprenditoriale in questi settori è rappresentato da piccole aziende, spesso familiari, non si può proseguire ad emettere bandi, per altro copiati male da altre realtà regionali, che non tengono in alcun conto la nostra realtà storica, culturale ed economica.

Occorre una impostazione strategica che di questo patrimonio storico, tanto in agricoltura quanto nella pesca, metta a frutto la ricchezza e le tradizioni. Non è ammissibile, per fare un esempio, che i nostri agriturismi non siano collegato con il territorio che li circonda, che vendano per esempio miele di Bolzano piuttosto che quello ottimo prodotto dai nostri apicoltori. Un approccio che non sia meramente legato ai conti, non può non mettere al centro un impegno per il serio rilancio e valorizzazione della nostra identità rurale.”

“Sapere che si è speso l’80% piuttosto che il 100% – conclude De Luca – non è importante se poi manca la visione politica che dice a cosa servono quei soldi e verso quale idea di sviluppo sono stati spesi.”

Articolo tratto da Canale Sicilia